Guido Boggiani
"L'uomo che sparì nella foresta".
Se la raccontano ancora la storia, alcune famiglie paraguaiane, nelle caldi sere d'estate ad Asunciòn. Una storia triste e al tempo stessa eroica, che ancora oggi ha il suo fascino e lega intorno al tavolo orecchie curiose. La storia è quella di un esploratore, partito alla volta della foresta e mai più tornato vivo, massacrato senza vero scopo dagli indigeni Chaco. Il suo nome era Guido Boggiani.
Quello di Boggiani è un martirio che ha avuto l'onore di essere impresso su pagine poetiche importanti del nostro secolo. Di lui infatti raccontò in versi il grande Gabriele D'Annunzio, tramandando ai posteri la figura di un uomo d'eccezione.
"...egli era svelto odiatore di salmerie e di scorte, e silenzioso era il suo ardimento, e cadde sotto la spada del predone selvaggio..."
Nelle parole delle Laudi del poeta abruzzese i tratti salienti di una tragedia, nel tepore dell'oblio invece la memoria storica di un altro dei tanti figli d'Italia in cammino sui sentieri del mondo, alla ricerca di risposte e di una nuova terra cui regalare la millenaria cultura peninsulare.
Guido Boggiani era nato a Omegna nel 1861, da una famiglia facoltosa. La sua infanzia fu certamente felice: ricco, bello, elegante, ottimo pianista, poeta, affascinante parlatore. Così si presentava al mondo questo rampollo di famiglia benestante italiana, destinato a diventare un tipico amante latino. E il ragazzo aveva anche talento artistico. Affascinato dalla pittura, entrò nell'Accademia di Brera e fu allievo prediletto di Filippo Carcano, il caposcuola dei pittori lombardi di fine Ottocento. Le tele di Boggiani impressionarono favorevolmente il pubblico lombardo dell'epoca, e una carriera artistica si apriva nella vita - già dorata- del giovane pittore. Ma nel 1887 irruppe nella sua vita un'altra passione: quella del viaggio. Boggiani rimase ammaliato da questo imperativo che tanto affascinò i giovani di fine secolo, e non perse tempo nel decidere il proprio destino. Lo stesso anno lo vide partire verso l'America del Sud.
Boggiani viaggiò nei territori delle Pampas e visitò le floride zone del Mar del Plata, ma decise di fermarsi in Paraguay, sgangherata nazione alle prese con più di un problema di sopravvivenza. Nella capitale Asunciòn, Guido Boggiani imparò tutto di questo selvaggio paese che già aveva vissuto le eroiche gesta delle "riduciones" gesuitiche, e amalgamatosi all'ambiente, abbandonò la capitale per dirigersi verso il Nord, nel Chaco, al confine con la Bolivia. L'italiano si trasformò in piantatore e condivise con i locali la dura vita di frontiera. Ciononostante mantenne fede al suo impulso interiore e stilò un vocabolario dei Guanà, indigeni dell'Alto Paraguay dalla fama sinistra. Boggiani studiò gli usi e i costumi di questa feroce tribù e fu il primo europeo ad occuparsi, in modo sistematico, degli studi etnici delle popolazioni in via di estinzione. Accanto al lavoro etnologico, l'italiano accostò anche l'attività di imprenditore, ed aprì la strada agli scambi economici tra il paese sudamericano e l'Italia. L'artista di Omegna contribuì alla creazione dell'esportazione di legname verso la nostra penisola, pur mantenendo anche fede alla sua passione pittorica. Molti suoi testi furono integrati da apprezzabili lavori su tela.
Arrivò il tempo del ritorno ma l'aria natale fece poco bene all'esotico lombardo. Nel 1896 Boggiani ripartì così verso le foreste sudamericane che tanto amava e in queste elesse la sua residenza, lasciandole soltanto per qualche rara visita ad Asunciòn. Nei villaggi del Chaco egli raccolse lance, archi, suppellettili domestiche, per dare inizio ad una collezione privata che in seguito sarebbe finita nel museo di Berlino. Boggiani fondò anche una Società culturale ed una rivista culturale, primo esempio del genere in Paraguay. Non dimenticò inoltre di mettere su carta tutti i dati raccolti sulle tribù del Chaco, dando vita ad una memoria scientifica di grande valore.
Dopo cinque anni di grande impegno la nostalgia dell'Italia riebbe il sopravvento e l'italiano stava per ripartire alla volta di Omegna quando ricevette notizie sulla possibilità di avvicinare - per primo - una tribù completamente aliena alla società occidentale. Boggiani rimandò il suo viaggio e partì alla volta del Gran Chaco, arruolando una scorta armata. Il viaggio iniziò sotto i migliori auspici e una volta raggiunta la foresta l'etnologo lombardo decise di rinunciare agli uomini del suo gruppo di guardia. Boggiani valutò infatti la possibilità che un gran numero di persone, per giunta armata, potessero intimorire le selvagge popolazioni del Gran Chaco, facendo pensare ad una spedizione armata e non ad una missione esplorativa. La decisione fu quindi presa e l'italiano proseguì con una sola guida, fidando nell'accoglienza degli indigeni e nella loro curiosità per l'uomo bianco.
Mai decisione si rivelò più sciagurata! Di Boggiani e della sua guida si persero praticamente le tracce. Gli amici residenti ad Asunciòn iniziarono a temere per la sua vita ma soltanto dopo varie settimane il dubbio si fece strada: dopo tutto vivere nella foresta non era certo paragonabile ad un semplice cambio della residenza! Con grande preoccupazione venne organizzata una spedizione di soccorso e la guida fu affidata a José Cancio, uno spagnolo esperto nei recuperi di persone perdute nelle foreste tropicali. Con molta fatica e superando numerosi pericoli il gruppo di soccorso arrivò sulle tracce lasciate da Boggiani. La spedizione seguì il sentiero tagliato nella boscaglia, nonostante questo fosse già quasi ricoperto di nuova vegetazione lussureggiante, e continuò con grande fatica nelle sue ricerche.
Soltanto dopo quattro mesi di durissima ricognizione, soffrendo la mancanza d'acqua e le infinite insidie della zona, arrivarono finalmente alla meta. Ai loro piedi trovarono infatti i miseri resti dei due uomini e dei loro sogni. A Boggiani e alla sua guida fu data una sommaria sepoltura e la spedizione rientrò. Ma appena rientrato nella capitale Cancio organizzò una nuova spedizione per recuperare definitivamente i due corpi. Ritornato sul luogo della sepoltura lo spagnolo riesumò i resti e li trasportò ad Asunciòn per la sepoltura definitiva.
Finì così, in un anonimo cimitero del Paraguay, il sogno avventuroso di Guido Boggiani. Anch'egli, come tanti altri, aveva sfidato la sorte ed aveva affrontato l'ignoto per raggiungere la sua meta spirituale, accomunandosi a tanti altri uomini di fine Ottocento, che rinnovarono i fasti dell'epoca esplorativa. Ma a differenza dei grandi navigatori del XV e XVI secolo gli esploratori di fine secolo XIX non sottomettevano in nome del re e del cattolicesimo. Essi erano spinti soltanto dal desiderio di avventura fine a se stesso. Niente lucro, niente onorificenze regali per questi ragazzi assetati di cultura: soltanto l'amore per l'avventura, per il nuovo, la sfida alle insidie della natura, esisteva nella loro mente.
E per l'avventura valeva anche rischiare la morte, lasciandosi dietro un ricordo sfumato di uomo "felice".
[articolo tratto dal web]
Se vi ho incuriosito:
questo è un libro dedicato a Guido. Autore Maurizio Leigheb
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