lunedì 31 ottobre 2022

Tempus fugit (ma qualcosa rimane)

 Lo diceva Einstein, che il tempo è relativo.

Anche che la stupidità umana è infinita, ma non è questo l'oggetto del post di oggi (per quanto d'accordissimo).

Quel che si svolge nel mondo "di fuori", è cadenzato da regole e convenzioni che sono le stesse da millenni.

Ci rendiamo conto dei minuti che passano, dandogli un nome, e una durata precisi: sappiamo che i minuti sono costituiti da 60 secondi, 60 minuti fanno un'ora, ogni giorno di ore ne ha 24 e si decreta la fine di ogni anno allo scadere dei 365 o 366 giorni dal capodanno precedente.

Se siamo predisposti alla mania del controllo, concepire il tempo non come un fluire ma come una distanza tra un punto d'inizio e una punto di fine o ripartenza, aiuta a non sentirsi (erroneamente) persi, frammenti di stelle che per una frazione di tempo ridicola, se si considera i tempi dell'universo, si ricongiungono e vanno a comporre un corpo che pensa e agisce per un tempo, appunto, limitato, sul quale non abbiamo alcun controllo, nè in merito allo step iniziale (il concepimento), nè in merito al momento conclusivo (la nostra dipartita).

Ma cos'è che volevo dire?

Ah sì.

Dicevo.

Quel che si svolge "al di fuori" di noi, i giorni intesi come alternanza del giorno e della notte, il cambio delle stagioni, il tempo che passa tra uno soffiata di candeline e l'altra, ciò che fa mutare l'urgente fretta di crescere nel malinconico desiderio di fermare il tempo, ha le sue regole, uguali per tutti.

Ma chi regola la percezione, lo svolgimento di quel che accade, di quel che si svolge "dentro" di noi?

Credo che se facessimo un parallelismo tra gli esseri umani e un brano musicale, se all'anagrafe invece di un nome e un cognome ci dessero un titolo, se la durata del nostro svolgimento, la nostra fine, fossero svelati alla prima riproduzione, se il mondo potesse replicarci attraverso note e spartiti, potremmo dire che il nostro ritmo sarebbe guidato dal cuore, in veste di maestro d'orchestra, e la memoria come strumento volto a regolare, a creare il nostro tempo.

Il cuore, grazie alla memoria, è capace di alterare, non dico invertire ma sicuramente modificare in maniera consistente, la distanza effettiva tra noi e un evento, che magari passano 30 anni ma quel ricordo è nitido come se fosse accaduto ieri, mentre non ci ricordiamo il nome di quel cliente che abbiamo inserito al computer due minuti prima.

Il maestro d'orchestra è un po' rivoluzionario, legge lo spartito ma poi se ne fotte, ricrea una melodia tutta sua, sposta le note, ne cambia la durata, strappa le pagine, le sposta, le butta, prende ciò che più conta, rompe le regole dello spazio e tempo, rendendo presenza anche qualcosa che non è più, o che è stato solo per un secondo, facendolo percepire "eterno".

Nei luoghi dove il cuore si è fermato, anche il tempo si ferma.

Luoghi che possono essere posti, persone, ugualmente portatori di emozioni che nidificano dentro di noi maturando sentimenti. A volte basta un unico incontro, affinchè qualcosa di esterno entri dentro, ari il nostro terreno, porti con sé sementi di bellezza o dolore a seconda dei casi, germoglino poi fiori, frutti che ci nutrono fino a diventare parti integranti di noi.

"L'uomo è ciò che mangia", diceva Feuerbach.

E ciò che ci nutre non è solo cibo.

Pensavo a ciò che rimane immutato mentre tutto scorre.

"Panta rei", l'ho scritto su un cartone A4, al centro una mia foto di spalle di fronte a un lago marchigiano. Lo scrissi come una sorta di mantra, portatore di un senso di sollievo al pensiero che tutto quello che mi faceva soffrire prima o poi se ne sarebbe andato. Non avevo tanti ricordi felici all'epoca, un peso sul cuore tenuto nascosto, gravoso, senza voce, accantonato. Avevo creato una maschera, un'altra identità, utile a campare.  Ogni giorno andavo avanti credendo di stare a galla, mentre stavo andando solo più giù.

Finché non ho smesso di respirare, nei fondali dell'oceano dei dolori taciuti e non curati non c'è ossigeno, non c'è salvezza. Lo scopri solo dopo, tanto tempo dopo. E in realtà non è che lo scopri, perché se fosse per te andresti avanti una vita così. Quell' identità creata ad hoc è l 'unica certezza che hai, oltre al fatto che fa tutto cagare, o detta in modo fine, male.

Semplicemente, a un certo punto, quello che sei, i tuoi bisogni, la tua vera identità, iniziano a urlare talmente forte, che diventa impossibile fingere di non sentire. Cambia il panorama, mutano le alternative. O muori, o torni a essere quello che sei. Ma di andare avanti così, non se ne parla. Quanto dolore e smarrimento ho percepito nell'attimo di massima apertura alla mia personale salvezza.

Pensavo, mentre rileggevo i post di questo blog, a quanto valga la pena, amare.

Ho capito, ho sentito, che la cattiveria di tante persone non mi è rimasta impressa, è durata il tempo di un bruciore di stomaco, di un pensiero rabbioso, di un attimo di stanchezza colmo di non senso. Quanto si può essere infelici per scegliere deliberatamente di agire per far del male a qualcuno? Quanto si può essere miseri per giocare a guardie e ladri con la vita degli altri? 

Dove sono riuscita a far prevalere la bellezza e l'amore, al dolore, al disgusto, all'errore, è rimasta una luce, che avendo una velocità diversa dal tempo, non solo in fisica evidentemente, mantiene caldi certi ricordi, certi attimi di felicità. Quando l'amore rimane amore, a dispetto di tutto, ci si guadagna un senso di eterno che altera il normale scorrere del tempo, e la bellezza di un istante si replica all'infinito.

Il tempo fugge, l'amore resta.

E se c'è ancora tanto dolore dentro di me, se lo guardo bene vedo che non è altro che un insieme di tutti quei momenti in cui l'amore non ha trovato spazio d'uscita, coraggio, forza, tempo. Ci sono stati momenti in cui non son riuscita ad amare me stessa sentendomi responsabile del male che mi faceva chi amavo, e questo crea un dolore che ti insegue, che altera la tua melodia. Diventa un secondo spartito che si sovrappone al primo. 

L'amore che ti rimane addosso arriva da dentro. Così come il dolore. Niente dipende dagli altri tanto da renderci impotenti di fronte alla possibilità sempre attuale di scegliere, cosa rendere eterno e cosa temporaneo. Di scegliere quanto imprimere nella nostra memoria le cose belle piuttosto che quelle brutte. Di rallentare il ritmo del dolore e dare più vigore alla bellezza.

Nostra la bacchetta, noi il maestro d'orchestra.


Quando ascoltiamo il battito del nostro cuore, che melodia vogliamo sentire?

mercoledì 15 luglio 2015

Vi siete mai fatti leggere le pietre?

Perché se non lo faccio strano non sono contenta.

Io, che dentro di me porto gli eccessi degli opposti, che sono una persona troooppo pragmatica e razionale, e poi, quando meno me lo aspetto, prendo il volo, ignara di dove mi porterà.

Ero a una festa medievale, qualcosa del genere.

C'erano una miriadi di cartomanti... io non ci sono mai andata, a farmi leggere le carte, però quella sera era curiosa, avevo voglia di sfidare il destino.

Tra tutte le cartomanti, chi sarebbe stata quella migliore? Come sceglierla? Dal prezzo, dalla tendina, dall'età, dalla fisionomia del volto?

Giravo senza trovare pace quando eccolo, la risposta ai miei problemi.

IL LETTORE DI PIETRE!

Eccallà. Pronti!

Ci passo davanti due volte, faccio la gnorri, fingo di essere interessata a qualcosa che non ricordo neanche cosa fosse, nella bancarella di fianco.
Poi mi dico, oh, eccheccacchio, bando alle ciance, e famola sta cazzata!

Mi siedo. "Ehm, si, buona sera (fingo spavalderia), vorrei fare questa cosa, sono curiosa"

Ho tre domande da fare, e per ogni domanda scelgo una pietra che nasconde un simbolo.

La ruota. E' uscita la ruota.

Il lettore di pietre mi ha detto che mi sembra di ripetere sempre la stessa cosa, ma non è così. A ogni chiusura del cerchio c'è stato uno spostamento, un piccolo progresso.
E c'è un senso, c'è una crescita.Solo che per vederla, devo cambiare prospettiva.

Sarà.

Will see.

"Se sei buono ti tirano le pietre, se sei stronzo, ti tirano le pietre", canticchiavo dopo la lettura del pietromante.

Let it be.


mercoledì 1 luglio 2015

L'altra faccia della medaglia

Il bene non si dimentica.
Neanche il male.
La sofferenza fa crescere, ti plasma. E cambi.
Cambi per necessità, mica per divertimento.
E se cambi, cambi per sopravvivere, cerchi un nuovo modo di stare al mondo, di vedere te stessa, gli altri, di interpretare quello che ti capita.
Metti filtri nuovi alle lenti che usi per guardarti intorno.
E anche a quelle che usi per guardarti dentro.

Sono sempre stata circondata da persone che al mio minimo gesto di ribellione, o autonomia, quando non rispecchiavo i desideri o le aspettative altrui, rispondevano con incomprensione, disagio, rabbia e fastidio.

E tutta la mia vita ha sempre avuto queste quattro chiavi di lettura.
Ero quello che gli altri volevano che io fossi, giusto per stare tranquilla.
Per essere accettata.
Per essere amata.

E mi sono fatta un male che non potete immaginare.

Ora? Ora me ne frego, chi mi intralcia viene murato, allontanato, esiliato dalla mia sfera personale.
Solo cose belle? Quando posso scegliere, assolutamente sì.
Altrimenti la forza per sopportare quelle brutte da dove la prendo?

Mi fa strano sentire quanta forza, e potenza, ti dà credere in se stessi e lottare per affermarsi.

Non è facile, ogni giorno c'è sempre una vocina che mi chiede se sono sicura di quello che sto facendo, e se poi sbaglio? E se poi non è la strada giusta?

Ricomincerò.

giovedì 18 giugno 2015

"Only the brave"

Parlare, e non preoccuparsi più delle conseguenze.

Perché, sinceramente, non mi interessano le conseguenze.

Perché so qual è la conseguenza del tenersi tutto dentro, e non ci può essere niente di peggio.

Parlare di quello che ho dentro mi toglie il peso, ed è solo quello che fa male.

La verità non fa male, la paura sì.

La paura.... la mia vecchia compagna di viaggio.

Mi frega sempre meno, lei.

Only the brave.

giovedì 11 giugno 2015

Di nuovo?

C'è una cinta muraria tra me e il resto del mondo,
ci sono quattro roccheforti, due eserciti, una buona dose di ignoranza, sfiducia e chissenefreghismo tra gli altri e il mio cuore.
Il mio cuore se la tira, o si difende.
Dipende da come la si vuole vedere.

Voglio dire, non è facile arrivarci.

Poi qualcuno ci arriva, non si sa neanche perché.
Cioè, lo so.
E' che non capisco perché ci rimanga.

Insomma, il mio cuore è una trappola.
Ci entri e non ci esci più.

Neanche se voglio cacciarti io fuori da lì.

Di nuovo qui. In questo stato confusionale che anche no, gli anni passano e io certe emozioni non le reggo. Poi mi viene mal di pancia.

E mi viene da piangere, e poi da ridere, e poi da sorridere..
Sorrido, rido di me, delle mie debolezze, dell' Amore che non segue, mai, la logica e il buon senso.

Di un cuore che sa tanto amare, tanto quanto difendersi. Anzi, più ama più si difende.

Lo immagino così, con l'armatura di emergenza, un caschetto più grande della testa, una spada di legno, uno scudo tutto bucherellato, che si guarda intorno con sguardo confuso e imbronciato.

Sì, fa tenerezza.
E anche rabbia.

Mi fa anche penare.
Io ci provo a dargli la spinta, a dirgli di smetterla di fare così, di togliere tutti quegli inutili mezzi di difesa, affrontare con coraggio le cose, e crescere.

E invece non cresce.

E allora mi chiedo: cosa ci vuole perché l' Amore si arrenda a se stesso?

Io lo so, che basterebbe questo per liberarmi da questo circolo vizioso che mi ha, davvero, tanto, stancato.




sabato 23 maggio 2015

Come si cambia

Ieri sera sono andata al cinema a guardare un film, o meglio mezzo film.. l'altra metà me lo sono dormita.
Vabbè.
"Tomorrowland". E' il titolo del film.
Ci sono andata senza sapere neanche di cosa parlasse... è che in quel cinema lì gli under30 pagano 3 €.. quindi dai, perché no.
La protagonista, era una ragazzetta vispa, una mezza teppistella (ma in senso buono.. e che vuol dire in senso buono? Oh se volete saperlo guardate il film!), una sognatrice incallita.
Una che non la fermi, nei suoi jeans, maglietta, felpina e cappellino da baseball.
Una con gli occhi azzurri grandi, un viso angelico e lunghi capelli biondo grano.
Mi ci sono rivista.
E sapeva di passato.
Mi sono accorta di quanto sia davvero cambiata.
E di quanto ancora mi senta.... lontana, da praticamente qualunque cosa.
Molto più concentrata su me stessa, e forse è un bene, visto quanto mi sono ignorata negli anni.

Però l'ho guardato,
convinta che quel sentimento che mi ero portata dentro per tanti anni, fosse ancora lì.
Qualcosa c'è, ma è diverso.
Non so dire in che modo, in un miliardo di modi.
C'è che se guardo negli occhi di qualcuno, se scrutando nei suoi gesti, non vedo abbastanza amore, cura, attenzione e dolcezza, una parte di me lo manda a fanculo all'istante.
E se una volta era una parte piccina, adesso è la parte più forte e presente di me.

Perché i blocchi emotivi degli altri non sono alibi sufficienti a farmi fare tutto il lavoro a me.

E voglio, assolutamente voglio, essere felice.

E niente, e nessuno, può mettersi tra me e la mia felicità.


sabato 9 maggio 2015

Paradossi

E' successo che a un certo punto la paura, quella grande, quella assoluta, mi ha preso a braccetto e ha deciso di volermi camminare accanto, o meglio dentro.

E io non è che potevo ignorarla.

Ho dovuto affrontarla, e ho capito che non era altro che l'insieme di bugie che mi raccontavo, di situazioni mai risolte.

A forza di mettere la testa sotto la sabbia poi si soffoca, e dovevo anche aspettarmelo.

E questa compagna di viaggio ti paralizza, ti distrugge, rende incerto ogni tuo passo.

Che potevo fare? L'ho guardata dritta in faccia (che brutta faccia) e le ho detto: ok, vediamo chi ce l'ha più duro.

Credo di averlo più duro io, se ad oggi posso affermare di avere capito una cosa.

Dove c'è la paura, c'è un esigenza di affrontare una domanda, che ha un' importanza direttamente proporzionale alla fifa che hai. 
E quando la affronti, pur senza sapere se ne hai gli strumenti, anzi, convinta di non averli, ti accorgi che vinci. Perché la sfida sta nel mettersi in cammino, non nel raggiungere la meta.

Perché ogni volti che affronti una paura, te ne liberi.

E sei sempre un passo più vicina alla felicità.