E' passato tanto tempo da quei giorni nel negozio di mio babbo,
i pomeriggi dopo scuola tra un fumetto lì per sbaglio, di cui divoravo le immagini, dando poca attenzione ai fumetti quando erano troppi lunghi,
una diapositiva di me con la tutina a fiori,
e le tante canzoni degli anni 50,60 e 70, ascoltate nell' ufficio di mio zio.
Il mio sognare ad occhi aperti, sempre, indisturbata. Il mio essere affascinata da ogni cosa, da una piastrella cangiante a un gatto che passava dal giardino; il mio emozionarmi ad ogni canzone d'amore, non riuscendo a capire, oggi, come fossi già in grado di sentire così, con una passione più adatta a un' adolescente che ad una bambina.
Ma forse quando si cresce ci si scorda quanto giù da piccoli siamo in grado di capire e sentire come "i grandi", forse più dei grandi, ovvero meglio, liberi da tutti quei filtri che da adulti ci condizionano, spesso facendoci perdere la spontaneità, spesso nascondendoci il senso di ogni cosa, che sarebbe davanti a noi, se non si fossimo diventati tanto bravi a guardare altrove, se solo non fossimo diventati tanto miopi.
Giorni in cui non mi interessava niente che non fosse emozionante, e infatti della scuola me ne fregavo. Cercavo le avventure, ero un maschiaccio, volevo fare le escursioni, scappare dalla scuola durante la festa di fine anno, passare sotto reti di protezione, arrivare al parco pubblico adiacente alla mia scuola per poi ritornare solo dopo ore, correre incontro ai miei genitori, rossa in viso, sudata e gasata dura, stare per raccontare quanto era stato emozionante, e ricevere una sonora sberla di mia mamma, che si era spaventata tantissimo perchè non sapeva dove fossi finita.
Ma io ero libera, a me non interessavano le paure degli altri, anzi, mi irritavano. Io non avevo paura, io non mi sentivo costretta da niente. Ero libera.
Poi qualcosa è cambiato, sono passati gli anni, ho incominciato ad avere paura, ho incominciato a preferire la realtà al sogno, mi sono incatenata in un'identità che spesso mi gratifica, ma allo stesso tempo mi fa soffocare.
Sono quella in gamba, sono quella che "cavolo quante cose fai, ma come fai, come ti invidio", sono quella che sembra non crollare mai, e sono crollata tante di quelle volte che non le conto più.
Sono quella che si è reinventata migliaia di volte, dopo ogni crisi, ho cambiato pelle, regole, per vedere se riuscivo a tornare a essere un po' felice.
Ho sperimentato le mie debolezze, e ho scoperto che sono grandi tanto quanto i miei pregi, le mie doti, le mia capacità e risorse.
Ho accettato i miei difetti, i torti fatti a me stessi, gli errori nel rapporto con gli altri.
Ho sentito il mio corpo e la mia mente cedere perché non mi curavo più di me, ma andavo avanti in modalità pilota automatico. Credendo, sperando di essere quel robot infallibile che non sono, che sono stata per qualche tempo ma non posso essere più.
Ho sentito il mio cuore battere così forte da sentirmi viva più che mai, e l'ho sentito soffrire mentre decidevo di stare in situazioni vuote, inutili. Ho vissuto entrambe le sensazioni nello stesso momento, forse per sentirmi meno in colpa, forse perché sentivo di non meritare tanta felicità, ma neanche tanto dolore.
So che posso ottenere grandi risultati, li ho ottenuti e li otterrò, se lo vorrò. So cosa pensano gli altri di me, so l'immagine di me che vendo, e so che l'immagine che ho io di me è totalmente diversa.
So che le mie fragilità non le conosco ancora bene, mi sorprendono tutte le volte, non le capisco, non le accetto,non le vorrei.
E questa è la mia sfida più grande, questo è il mio obiettivo. Il più difficile, il più sofferto.
Accettarmi.
Perché nessun successo è tale se non si impara a vivere, se non ricomincerò a emozionarmi, a costruirmi quella vita, a cercare quelle situazioni che mi faranno ricordare il senso, il motivo per cui sono qui.
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