lunedì 27 agosto 2012

Un' onda un po' anomala


26 Aprile 2012





Le piccole onde si assopiscono nel sonno del vento e più non sono. L’ultimo ricordo lasciato sulla battigia della vita prende la forma strana e levigata di un enorme tronco di albero divelto dalla valanga, finito nel lago, disceso col fiume fino alla foce, rapito dalla corrente, accarezzato dalle piccole onde che lo hanno portato dentro i supplizi di tutti i mari, dentro la follia di tutte le persone che non trovano equilibrio e creano disagio e dolore attorno a sé ed in sé. Se non ci fossero al mondo delle persone che ci amino saremmo tronchi divelti spiaggiati nelle secche scure dell’inferno. Se nessuno provasse dolore nel vederti rassegnata ad uscire di senno perché incapace di lottare, saresti anche tu auto-divelta, auto-suppliziata, auto-spiaggiata in qualche angolo di nulla che ingannevolmente sapeva di pace. La pace del nulla è una tentazione sottile che dimora in noi come un virus dormiente, se si sveglia attiva l’ultimo uragano che ci inghiottirà. Meno male che tu non ti perdi mai di vista, che con intuitiva saggezza non perdi il contatto con te stessa, anzi, più si alzano le onde più trovi equilibrio in qualche profondità del tuo essere e perciò ristabilizzi il baricentro e con esso l’assetto della tua nave. Sei riuscita finalmente a dare un nome a questa nave, l’hai chiamata “Speranza”, sei riuscita a costruirla lavorando con Amore ogni singolo tronco che le tempeste hanno spiaggiato nel tuo cuore. Per vele hai tessuto pazientemente tutte le piume che giorno per giorno hai rinvenuto nei pressi della tua dimora. Leggere e delicate, dipinte direttamente dalle ali della Fantasia che mille volte si è levata in volo dal tuo giardino con battito d’ali vigorosi; ad ogni battito d’ali qualche piuma è stata persa nell’aria e ritrovata in terra da una bambina che ne ha fatto collezione. Oggi nasce una vela, oggi nasce una donna. Una donna che sa dare misura e senso alle cose, alle persone, agli eventi e fa memoria del suo vissuto come di un viaggio che si distende tra il “già” e il “non ancora” della sua gioia nascente. Una donna che è arrivata ai confini dell’essere e sa bene che la pazzia è scordarsi chi siamo, è l’incapacità di vivere in armonia con se stessi e con quello che ci circonda, perciò diviene patologia e dolore. Una donna che conosce il coraggio e sa bene quanto sia impastato con la follia stessa, perché è solo così che si può parlare fuori dal coro, andare controcorrente, non conformarsi alla normalità quando ciò vuol dire deformarsi e perdere il contatto con la propria autenticità, con l’anomalia santa della nostra più intima identità/specialità. Alla fine del viaggio, dentro l’occhio del ciclone hai trovato parole che sanno di eterno: “Amate quello che siete” (… e se ci riuscirete, amerete anche quello che sono gli altri, finalmente, e perciò ne verrete riamati). Ama la tua piccola anomalìa che ti consente di non distaccarti mai da te stessa e se ancora non conosci la profezia che è scritta su di te, non preoccuparti più di tanto, perché verrà certamente qualcuno a spiaggiarsi sulla tua terra dopo aver navigato le sue mille tempeste e te lo sussurrerà all’orecchio. Lo riconoscerai dalla leggerezza di piuma che hanno i suoi pensieri e dalla forma levigata e strana che hanno gli uomini quando hanno misteriosamente capito il verso in cui gira l’universo.

Mi sono letta nelle parole di qualcuno che ha deciso di raccontarmi in 13 puntate, di cui questa è stata l'ultima, la conclusiva, quella che ho rischiato di perdermi. A volte commossa, a volte impegnata a capire il linguaggio spesso enigmatico di chi scriveva.
Ad ogni modo, qualcosa di unico. Speciale.
Grazie.

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