è stato più di dieci anni fa.
Quella parte di me che non trovava consensi, che non trovava respiro, era sempre e solo respinta, causava problemi, impediva la quiete domestica (o almeno io credevo fosse colpa mia, mi hanno fatto credere fosse colpa mia).
Era la mia parte emotiva, era la mia parte più vera, era quella che piangeva quando era triste o spaventata, era quella che pretendeva rispetto, pretendeva le cose belle, era quella che diceva quello che voleva e che pensava.
Ho iniziato a essere una costruzione dietro l'altra. Una maschera socialmente vincente, ma non ero più io.
"Un'artista stretta dentro la cornice di una manager, ma tu non sei una manager".
Perfezione, che equivaleva a reprimere le cose spiacevoli, i sentimenti spiacevoli. Spiacevoli per chi? Per me? No, per gli altri. Negli anni ho accumulato esperienze negative che dovevano farmi arrabbiare, dovevano farmi reagire, e invece no. Io non reagivo più. Perché tanto era inutile, e poi diventò sbagliato. Io ero sbagliata, se mi arrabbiavo, se ero debole, sbagliavo.
E chi vuole sentirsi sbagliato? Nessuno, fino a diventare qualcun'altro che non sei, ma che agli altri va bene.
Invertire la rotta è qualcosa di assolutamente doloroso e difficile, quanto necessario.
Mi hanno detto cosa devo fare, mi vien da ridere a pensarci, mi fa sentire sciocca, ma in fondo, se ci penso, è qualcosa che desidero fare da sempre. Quotidianamente.
Ho imparato una cosa. Essere se stessi è l'unico modo per essere felici.
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